mercoledì 21 marzo 2012

Quando lei dorme

Alle volte mi trovo in un limbo. Nel bel mezzo di due realtà. Quella che mi vede mamma, che mi vede godere di ogni sorriso di mia figlia, che mi disegna una donna felice ed appagata. Soddisfatta della propria vita e fortunata per la possibilità di prendermi una pausa dal mondo lavorativo.

L'altra realtà si materializza nella mia mente quando Delia dorme. 

Delia non vuole assolutamente dormirmi in braccio. Delia non cerca le coccole prima di dormire e anzi, appena sente manifestarsi il primo segno di sonnolenza, diventa irrequieta e nevrotica. Se la prendo in braccio mi graffia, si dimena e si butta all'indietro fin quando non mi arrendo e decido di metterla a letto. Dal suo lettino mi guarda felice e sembra che le sia passato il sonno. Io le metto accanto il pupazzo della nanna, la mia maglietta e chiudo la porta. Lei per cinque minuti si gira e si rigira tenendo stretta la punta del cappello del pupazzo che viene così sbatacchiato contro le sbarre del lettino emettendo il tintinnio continuo del campanello custodito nel suo stomaco. Delia finalmente si gira sul fianco sinistro e abbraccia il pupazzo-campanello fino ad addormentarsi faccia a faccia col suo amico di stoffa.

Perché ho raccontato tutto ciò? 
Perché dovrei essere fiera e vantarmi del fatto che la mia bambina di soli 7 mesi dorme da sola e si addormenta senza battere ciglio. 

Eppure mi manca il nostro contatto. Mi manca il momento di coccole e mi sento di rappresentare per lei solo la persona che le toglie la cacca e la lava, le prepara la pappa, la imbocca, la mette nel box e cerca di farla divertire spesso senza riuscirci (si diverte molto di più a portarsi alla bocca qualsiasi cosa le capiti sotto la mano), la veste, la sveste, le fa il bagnetto, la tortura con il tiracaccole dopo averle infilato quel liquido disgustoso su per il nasino. 
Ogni tanto la porto a spasso è vero, ma lei è troppo piccola per capire l'universo della socializzazione. Vede solo luci e persone, rumori e movimenti. 
Ogni tanto la siedo sulle gambe e ci gioco e la faccio ridere a crepapelle. Ma appena mi viene la pessima idea di mangiarmi di baci le sue guanciotte inizia a lamentarsi e a volersi liberare.

Sì certo, è ancora molto piccola e non dovrei pretendere che possa dimostrarmi il suo affetto. E' troppo presto. E soprattutto, in questo mio micromondo la protagonista non sono io ma è lei. E' lei che deve ricevere il mio amore. E' l'unica cosa che conta. Perché sono la sua mamma e il mio destino è quello di inondarla d'amore.
Però da essere umano con le sue fragilità e con il mio smisurato bisogno di amore, io un pò ci rosico.

Quando lei dorme, io mi ritrovo sola con me stessa. A volte penso a quello che devo fare mentre sto svuotando in fretta e furia la lavastoviglie, salgo sù in camera di corsa a rifare il letto, metto in ordine, tiro fuori dal mio armadio le prime tre cose che si abbinano insieme e corro a farmi una doccia.
Inconsciamente spero sempre che una volta finita la mia vestizione, lei si sia svegliata e sia pronta a rituffarsi nel nostro mondo. Ma spesso sta ancora dormendo ed io mi ritrovo sola con i miei pensieri. 

Penso a ieri, ad oggi, al mio domani. Penso al fatto che di indole non mi sento felice se non esco dalla routine quotidiana. Di indole, ho bisogno di stimoli nuovi, di creare, scrivere, fotografare, cantare, salire su un palco, passeggiare in luoghi sconosciuti.
Penso alle prospettive che mi riserva la vita, guardo dalla finestra e vedo una città che non corrisponde alle mie aspettative, che non si sposa con la mia apertura mentale, con le mie esperienze di vita. Troppo silenzio, tutto così statico, così nella media, costruzioni uguali ed impersonali, ragazzi giovani omologati all'immagine del teen-ager televisivo. Ogni tanto chiudo gli occhi e torno indietro di qualche anno, seduta sulla finestra di un hotel di Manhattan mentre bevo il mio caffè americano, mentre mi godo lo spettacolo del risveglio newyorchese. Il fioraio che svuota il furgoncino pieno di fiori freschi, il negozzietto di vestiti Made in China tira sù la serranda, la gente che passeggia sorseggiando caffè, per iniziare un nuovo giorno lavorativo in una città colma di possibilità. 














Apro gli occhi e Delia non si è ancora svegliata. La guardo dal video-interfono, dorme come un angelo e in casa risuona il silenzio.
Chiudo gli occhi e m'immagino in un'isola lontana con mio marito, in Jamaica, sotto il sole a parlare con un vecchio rasta strafatto. Davanti a noi l'oceano brilla e mi colora la memoria di un turchese vivo.








Ho voglia di vivere, ho bisogno di viaggiare, di conoscere, di riempire il recipiente della mia curiosità. L'idea di rimanere per tutta la vita in questo posto, in questa cittadina che i soli abitanti vecchi e stanchi sono grigi anche nell'anima, mi provoca un senso di nausea.

Davvero Delia crescerà qui? Con tutto il rispetto per gli abitanti di questo Paese, ma davvero mia figlia crescerà in Italia? cerco di immaginarmi la sua vita ma non ci riesco. Perché io ho un vissuto diverso dal suo con  i suoi contro e i suoi pro. Vivere da Italiana all'estero è un'esperienza da analizzare con le pinze perché se da una parte ti apre la mente, dall'altra spesso ti destabilizza nei sentimenti, negli affetti, nei legami. Perché conosci persone che poi un giorno lascerai, perché cresci senza capire quali siano le tue radici. Perché sogni l'Italia come se l'immagina un extracomunitario, e quando passi quei pochi mesi all'anno in Italia ti senti fortunata di vivere all'estero.

Ma per lei sarà tutto naturale. Avrà la mamma, il papà, gli amici di scuola e quelli del quartiere, la scuola, la televisione e i canali per adolescenti, lo scooter (forse), la camera piena di poster e un adesivo attaccato fuori dalla porta con scritto "attenti a Delia".
L'importante è che sia felice. E' una frase banale e scontata ma racchiude in sé una verità assoluta. Puoi vivere a Londra, a Fuerteventura, a Dubai, in Tailandia o alle Mauritius. 
L'importante è l'amore. Se c'è quello, anche la più grigia Granarolo dell'Emilia può trasformarsi in un esotico paradiso terrestre.


(basta crederci.)

sabato 17 marzo 2012

Un gatto scemo.

Ho un gatto. Si chiama Bigghy. E' bello, molto atletico e con un musino che ti frega. Ma è anche un pò stronzetto e alle volte non poco scemo. Ho detto scemo? volevo dire "molto scemo" Come stasera. Stasera sale sul tavolo e si impegna a far cadere a terra tutto ciò che vi ci trova. Ha iniziato con un inserto del manifesto. Si vede che l'odore del petrolio lo inebria. Perché è lì che vi ci infila il muso poi lo spinge con la zampa verso il bordo e poi...sbam... a terra.

Poi però non ha alcunissima intenzione di andarci a giocare. Lo lascia lì. Come mio marito col pigiama.
Si guarda ancora intorno e punta quell'oggetto blu con scritto Labello. Per prima cosa lo posiziona in orizzontale dopo avergli dato un leggero colpo con la zampetta. Poi lo fa rotolare fino all'inevitabile volo in piccata dal tavolo.

Questa volta il mio felinoscemo scende dal tavolo e si diverte a farlo rotolare a terra. Usa le zampe anteriori (ovviamente, sennò dal molto scemo passeremmo al "gatto fenomeno") alternandole ad ogni spinta. Destra, sinistra, destra, sinistra...ogni tanto indietreggia e gli salta addosso facendo sì che il mio balsamo per labbra si perda per sempre negli abissi sotterranei del divano.

Ogni tanto cerco di ricordargli che ha una padrona. Durante il suo attentato al Manifesto ho più volte urlato un silenzioso "ehiiiiiiii", seguito da un "Bigghy basta!!!!ssshhh" (Delia dorme nella stanza accanto) . Ignorata completamente, decido di produrre un rumore che possa spaventarlo e fargli quindi capire, anche con l'inutile ausilio di un mio sguardo fisso e severo, che qualsiasi cosa abbia in mente di fare o stia facendo, NON VA FATTO.

Sbatto i piedi sul divano che in posizione di "chaise longue" emette un boato in grado di catturare finalmente la sua attenzione. Per 5 secondi. Poi ricomincia ad essere scemo. Continua questo suo teatrino per altri cinque minuti durante i quali sparecchia la tavola e fa cadere da altri mobili accessibili alla sua agilità, i seguenti oggetti: l'accedino appoggiato (o caduto) sulla sedia, il pacchetto di fazzoletti steso sulla credenza nel corridoio,  il pupazzetto di gomma di mia figlia che riposa sul tavolino del seggiolone.

(Oh, non appena scrivo o pronuncio "mia figlia" mi vengono i brividi.)

Dopo essersi finalmente stancato, va ad annusare un pò di spazzatura, si bagna le zampine nella ciotola dell'acqua, liberandosi di quella in eccesso agitandole e schizzandola ovunque.
E lì, a quel punto, gioca la carta de "il gatto scemo dell'anno" andando ad infastidire le bustine del tè, ordinate minuziosamente per colore in 3 file, su di un vassoio in stile arte povera a cui tengo particolarmente. Per prima cosa si diverte a scombinarmi le file, e solo dopo aver rovinato il mio lavoro maniacale, ne addenta una, se la mastica fino a far fuoriuscire il te dalla bustina. Non ho ancora avuto il coraggio di lasciargli ingoiare il contenuto di un'intera bustina. Sarà che me lo immagino a saltare come un pazzo con la coda gonfissima in ogni angolo della casa notte natural durando. Che già sentirlo miagolare mentre monta il peluche di Sanbernardo in piena notte non è un'esperienza gradevole.

Quindi niente, alla fine mi tocca appoggiare il portatile sul divano, spingerne indietro la chaise longue e tornare in posizione seduta, alzarmi con tutta l'agilità e la freschezza di una novantenne rattrappita e togliergli la bustina dalla bocca. Raccattare tutti i dispersi dal campo di battaglia e riporli sui vari mobili. Lui scappa via (consapevole di aver fatto tutta una serie di cazzate meritevoli di ammonimento) attraverso la gattarola. Tutto eccitato dalla possibilità di giocare con una padrona irritata, entra ed esce correndo (questa fase la chiamo generalmente "Bigghy sotto effetto coca") una ventina di volte facendo oscillare la gattarola sempre più rumorosamente fino a quando dal video-interfono esce un verso inequivocabile.
Lei. Delia. Mia figlia. Che dorme da un'oretta- e solo da pochi minuti sono riuscita a sedermi sul divano con l'intenzione di un pò di sano cazzeggio - lei, proprio lei....si è ovviamente svegliata.

Ed è a quel punto che gli dedico un incazzatissimo nonché silenzioso "scemo!!!, sei proprio scemo!!".

A volte mi guarda, guarda il video, guarda me, guarda il video, guarda me (questa fase può durare fino a 3 minuti) e sembra capire, o far finta, che si è comportato davvero da scemo. Si dirige quindi sulla sua sedia e dopo una lavatina di routine, è già lì che se la dorme.

Altre volte non resisto, lo prendo in braccio e me lo strapazzo tutto fino a rimbecillirlo e appena riesce a liberarsi, zompa in terrazzo e non torna in casa per almeno mezz'ora. Forse si è offeso. 
D'altra parte è un maschio. E si sa, mai dire ad un uomo che è scemo.


martedì 13 marzo 2012

Tre anni fa scrivevo:



Prove generali da mamma imbranata

Pubblicato il 16 febbraio 2009 

Sono una zia. Una zia felicemente imperfetta. Lei mi adora, lei mi corre incontro e urla il mio nomignolo TATIIIII. Tatì ovvero per esteso "tatie" non è altro che la traduzione francese di "zia". Appena nata, mi è venuto spontaneo presentarmi a lei con questo nome, convinta che il suono fosse più dolce e la connotazione del sostantivo più giovanile! Dalla sua nascita, una notte nebbiosa di Novembre del 2006, la mia vita, quella di mio marito e chiaramente quella dei genitori di questo folletto dagli occhi vispi è stata totalmente sconvolta. Se prima quattro festaioli si dilettavano in cene a base di vino e mcdonalds, uscivano frequentando i peggiori centri sociali di Bologna, si alzavano a mezzogiorno i sabati e le domeniche organizzando all'ultimo momento una qualsiasi gita potesse portarci fuori casa, da quel momento, tutta la nostra vita ha iniziato a ruotare intorno a lei.

Chiaramente, il cambiamento più radicale e sconvolgente l'hanno subito i genitori. Infatti, non vi nascondo che dopo esser stati due settimane in vacanza con loro e la peste, una volta tornati nella nostra casetta etnica e "souleggiante", io e mio marito ci siano polleggiati sul divano e abbiamo tirato un sospiro a pieni polmoni quasi fossimo sollevati dal non essere ancora genitori.

Eppure la cosa ci manca. Ci manca ma ci spaventa allo stesso tempo.

E' per questo motivo che ora che la nostra cucciola di ballerina (eh si, balla, balla tanto e balla bene!!) ha la completa padronanza della lingua italiana fatta eccezione per alcune vocali e sillabe incomprensibili, ora che questa nipotina è indipendente da mamma e papà (così vuol fare sembrare), i due giovanissimi genitori che in due non arrivano nemmeno a 50 anni di età, si sentono pronti ad affidarla a noialtri, consapevoli di renderci felici nel poter far loro il regalo di un pò di intimità e nel poter assaggiare la pietanza del genitore.

Il primo pasto fu consumato una domenica pomeriggio in cui ce la portarono prima dell'ora di pranzo e nostro compito fu quello di farle la pappa, farla mangiare insieme a noi (non prima di essermi preparata psicologicamente a farfalline di pasta spiaccicate in terra e a ditate unte sui cuscini della sedia). Compito più arduo fu quello di farla addormentare per la consueta siesta pomeridiana. Eppure non so con quale strano trucco di magia io e la mia dolce metà portammo a compimento il nostro dovere. Fu una domenica bellissima in cui tornammo bambini e toccammo per la prima volta dopo anni e anni dalla nostra infanzia quella cosa molliccia chiamata pongo dilettandoci in una gara spietata a chi creava l'opera d'arte più apprezzata dal giudice meno imparziale del mondo (vincevo sempre io e sono una vera schiappa).

Passato l'esame della domenica pomeriggio, eccoci arrivati al secondo livello: dal sabato sera fino alla domenica successiva.

Alle 20.30 di ieri sera ci portano il fagotto, ci danno indicazioni sulle creme e cremine per il sederino, sulla pappa da darle, sul latte da scaldarle, il numero di biscotti e via dicendo.

Eccoci, loro sono sulla porta e stanno per uscire e lei guarda noi, guarda loro e scatta il primo pianto.

Inizia tipo una vecchia ford ingolfata...ma-mma...ma-mma....ma-mmaaaaaaaaaaaa e via col concerto e le lacrime e il singhiozzo.

Io sono rimasta pietrificata e non sapendo che pesci pigliare ho iniziato a cantare e a far finta di cadere in modo da unire la componente comica al mio tentativo di deliziarla con una mia canzone stile Titanic..(insomma, uno scempio)... la cosa ha funzionato per qualche minuto ma il pianto libero è ricominciato più acuto che mai.

Per fortuna, il mio caro maritino sembra avere un forte ascendente su di lei e dopo una mezz'oretta siamo riusciti a farla cenare, promettendole mio malgrado di farla mangiare da sola. Ma cosa non sarei pronta ad accettare pur di non vederla piangere chiamando la sua mamma e facendomi sentire un'inutilità umana. Che sarà mai un pò di carne seminata in giro per il soggiorno e una tovaglia diventata un capolavoro di corrente cubista o surrealista....!

Dopo la cena del trio medusa, eccoci nuovamente a giuocare serenamente. Eppure nell'aria c'è qualcosa che non va....

Si vede che hai capito tutto e che sei abbastanza contrariata. Pensi che mamma e papà ti abbiano ingiustamente lasciata qui con noi due che sebbene siamo come dei genitori per te, NON siamo i tuoi genitori. Pensi che dovrai addormentarti senza la mamma, ti guardi attorno e non riconosci la tua casa. Inizi di nuovo a piangere. Io e lo zio ti abbracciamo, ti coccoliamo e riusciamo a tranquillizzarti ma non giochi, sei offesa ed inizi a buttare tutto per terra, iniziano le tue risposte da bambina ribelle e a tutte le nostre proposte tu rispondi con un N-NO! e a quel punto penso che la cosa più giusta, vista l'ora tarda, sia quella di metterti il pigiama e andare su con te a dormire. Per cambiarti ho dovuto mettere a dura prova la mia pazienza mentre ti muovevi e pretendevi che non ti toccassi, ho ricominciato a cantarti delle canzoncine stupide per accompagnare i miei movimenti mentre ti cambiavo il pannolino e ti infilavo il piagiama. Tu lo senti che sono imbranata vero? e lo fai apposta ad aprire i tubetti di crema e a metterteli in bocca cosicché io mi prenda uno spavento ed inizi a panicare. Sai anche che di solito la mamma ti lava i dentini ma che io, trovandomi in una situazione delicata, ti permetto di lavarteli da sola pensando tra me e me che tanto il giorno dopo te li avrebbe ri-lavati qualcuno di più competente. E come hai riso quando mi sono resa conto di averti messo la cremina per il culetto sul viso e viceversa!

E' stata dura portarti su in camera e doverti mentire dicendoti che lo zio avrebbe chiamato la mamma che fra pochi minuti sarebbe venuta ad addormentarti. E mentre il tuo pianto diventava sempre più debole, mentre la stanchezza vinceva sulla tua paura, ti addormentavi fra le mie braccia, nel lettone della zia.

Stamattina si è svegliata alle 7.00. Io non ho chiuso occhio perché ad ogni suo movimento, il mio cuore palpitava, facendomi svegliare di soprassalto e superata la tachicardia, mi assicuravo che la mia nipotina non fosse caduta dal letto o non si fosse scoperta o coperta eccessivamente.

Tutta la notte mi sono presa cura di lei, coprendola quando le braccine e il corpicino erano troppo esposte alla bassa temperatura notturna della stanza, dandole dei teneri baci sulla fronte quando si girava verso di me per cercare un contatto umano e io pregavo affinché non pronunciasse la parola mamma e non si rendesse conto in piena notte che il viso che stava toccando era quello di Tatì e non di sua madre.

Al suo risveglio le ho ripetuto che la mamma sarebbe arrivata a momenti a prenderla ma ormai la paura era passata e l'esame superato. Le ho scaldato il latte, ho giocato con lei e ho chiamato mio fratello per avvertirlo che la bambina era già sveglia ed io avevo esaurito giochi, filastrocche e espedienti vari per tenerla buona ma stava già dando segno di insofferenza e "dispettosività"...

Il papà è venuta a prendersela, l'ha lavata, cambiata e portata via, non prima di averci concesso il nostro ultimo abbraccio stretto stretto e non prima della mia domanda "vuoi venire anche stasera a dormire da Tatì?" e lei "tì".

Quel sì voleva dire chiaramente no, ma già a due anni ha capito che non vale la pena infierire su chi è già di per se consapevole di essere per natura una mamma imbranata. Intanto con questa esperienza ho imparato che per togliere i mocci dal naso con la pompetta, devo prima spruzzarle nelle narici la soluzione fisiologica e preferibilmente dopo averle fatto inclinare la testa all'indietro.....

"tatì, debi mettee gocce nel nato no in bocca!"



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Queste sono mia nipote Vera (5 anni) e mia figlia Delia (7 mesi). Oggi.



Odore di primavera

E' bello poter passeggiare, prendere tua figlia, metterle un giacchetto di lana, una cuffietta e via col passeggino. E' bello quando hai una gelateria vicino casa con tanto di parco giochi (che tua figlia al momento può solo guardare senza capire cosa sia).
E' bello metterle una paio di scarpette da maschio (perché comprare quando puoi ereditare dai cugini?) e doversi fermare a raccoglierle da terra ogni 5 minuti.




E' bello sedersi al tavolino fuori dal chioschetto e bersi un frappè alla fragola perché la fila per i gelati era lunga venticinque metri. E aver male alla pancia subito dopo perché sei "un pò" intollerante al latte. Specie se lo bevi freddo e te ne scoli mezzo litro in cinque secondi.
E' bello vedere tuo marito che è a dieta e non può bere birra, chiedere una coca cola zero o light ma tornare con una bottiglietta d'acqua naturale ed una tristezza sul viso che nemmeno se gli fosse morto il gatto.
E' bello far fare merenda a tua figlia e poi lasciare che si diverta seduta nel suo passeggino. A mangiarsi le scarpe, a darsi i giochi in testa, a far scivolare la mia giacca giù dalla sedia. Mi viene il sospetto che mia figlia abbia gli stessi poteri di Spiderman.
E' bello sentirla mentre fa le prove di canto e passare da dolcissimi urletti di diaframma ad animaleschi urli di gola. Cosa che io e mio marito per riuscire a comunicare dovevamo usare gli sms. 
Cosa che ad un certo punto c'è venuta un'idea geniale. Basta un bloc notes e un pennarello per rendere folle una giornata di primavera...

domenica 11 marzo 2012

Di supposte e futuro lavorativo

Dal titolo uno potrebbe pensare "oddio, è stata licenziata e l'ha presa in quel posto!" 
No, in realtà questi ultimi giorni mi hanno vista impegnata in una sanguinosa guerra fitta di paranoie e attacchi di panico chiamata FEBBRE. La SUA prima febbre. Io poi che l'ultima l'avrò avuta dieci anni fa e non so nemmeno più come si usa un termometro. Figuriamoci se ad averla è la mia bambina. Di sette mesi. Che mi guarda con gli occhi lucidi e le gote rosse e si lamenta e io non capisco e le dico "Delia, ora basta però, stai iniziando ad essere piagnucolosa". E invece FEBBRE.

Ma torniamo indietro come nei migliori film che si rispettino, andiamo di flashback.
E' mercoledì 7 marzo e alle 10,30 ho appuntamento col mio responsabile presso l'azienda per la quale lavoro. Dobbiamo parlare del mio "futuro lavorativo", di quel che ne sarà di me una volta finita questa maternità. So che non sarà facile ma non ho altra scelta. Voglio godermi mia figlia, non voglio lasciarla al nido, non ce la faccio, sono troppo egoista forse, ma preferisco vivere con uno stipendio solo e privarmi di spese futili (e quanto ne soffrirò già lo so) ma poter stare con lei a casa e vederla crescere fino al terzo anno d'età. E' mercoledì e sto per andare in azienda per chiedere un'aspettativa di due anni. E se non me la concedono, l'intenzione è quella di licenziarmi. 
E qui già sento voci che mi esclamano "ma sei scema???? ma coi tempi che corrono? lasci un contratto a tempo indeterminato? ma c'hai pensato bene? non ci sono alternative? sei sicura?"
Credetemi, ho avuto ben 9 mesi di gravidanza + 7 mesi di maternità per pensarci e la mia decisione, anzi, la NOSTRA decisione è irremovibile. Che poi il fatto che LUI si sia proposto in primis di farmi stare a casa all'inizio mi puzzava lo ammetto. Della serie "ma che mi vuoi trasformare nella donna Calabrese tutta casa e chiesa?". No, scherzo. Sapevo ovviamente che il suo gesto è scaturito dalla sua felicità nel vedermi così serena (donna serena, donna meno rompiballe). Un tempo arrivava a casa o mi vedeva tornare a casa sempre incazzata o depressa o scoglionata. Questo non va, quest'altro nemmeno, voglio fuggire, che palle il mio lavoro, mi sento in gabbia, è una tortura, sono infelice, ammazzatemi vi prego. 
Ora lui torna a casa e io gli vado incontro scodinzolando. Non lo dico in senso figurato eh, ma faccio proprio finta di scodinzolare. Cosa che se mi vedesse un assistente sociale, si porterebbe via Delia correndo. (Memo: ricordarmi di perdere questa ridicolissima abitudine entro un annetto, prima che lei stessa inizi ad accogliere la gente in quel modo).

E' Mercoledì ed entriamo in azienda. Delia si guarda attorno, regala mezzi sorrisi indecisi ai volti che le stanno intorno e che la guardano insistentemente come se stessero aspettando un suo gesto, una sua parola, un suo urlo. E tutto ciò lei lo vorrebbe realizzare ma stamattina si è svegliata un pò più stanca del solito. Non faccio caso ai suoi occhietti lucidi e procedo con la visita alle mie ex-colleghe. Salgo nell'ufficio del mio responsabile e con lei sulle mie ginocchia le faccio la mia proposta. Parliamo, ci salutiamo e scappo perché fra mezz'ora devo dare la pappa a Delia.
Poiché la sera prima mi ha simpaticamente vomitato il mio passato di verdura fatto in giornata, decido di darle un pò di brodo con pochi cucchiai di verdura passata. Appena accenna un gesto di sazietà, decido di non insistere. Ma un pò di frutta Delia? che dici di qualche cucchiaino di frutta amore? Alle fine hai mangiato solo mezza porzione di pappa....
Manco a dirlo, dopo il terzo cucchiaino mi ha vomitato mezzo pranzo. Accidenti ma questo passato di verdura dev'essere davvero pesante...chissà, forse c'ho messo troppo sedano, troppi fagiolini, non è molto invitante il sapore effettivamente...

La metto a letto per il suo pisolino pomeridiano. Io aggiornerò il mio blog o mi svagherò in altro modo. Dieci minuti dopo è di nuovo sveglia e si lamenta nel lettino. La tiro sù, la cambio, la vesto e decido di anticipare il nostro secondo appuntamento della giornata: IKEA. Ho l'intenzione di comprare il famoso sacco nanna 6-18 mesi perché ormai quello 0-6 è da conservare per una prossima nascita. In macchina continuano le sue lamentele e le ignoro a suon di musica, convinta che Amy Winehouse  saprà tranquillizzarla. Arriviamo all'Ikea e fa un caldo pazzesco sia fuori (17 gradi) che dentro (380). Svesto Delia e noto le sue guance rossissime...la rendono così bella e ancor più simile a Heidi che non faccio caso alla sua fronte calda, mi sorride e mi dico che va tutto bene.


Lei non cessa la sua lamentela...sembra una specie di lagna-mantra che non sembra finire. Nemmeno quando le invento le scenette con l'orsacchiotto Fabler Bjorn. Lei sorride ma poi riparte con la cantilena. Siamo alle casse, mi sbrigo perché finalmente l'istinto di mamma ha deciso di farmi visita e mi dice che qualcosa non va. Usciamo dall'Ikea, entriamo in macchina e finalmente, colpo di genio, le tocco la fronte. FUOCO. Inizio ad agitarmi, siamo a 30 km di distanza, mi viene in mente l'episodio di vomito della sera prima, gli occhietti stanchi in azienda, il momento della pappa a pranzo, le sue gote rosse e i suoi occhi lucidissimi...non sta bene, cazzo, non sta bene!!! Corro come una pazza, 30 km in dieci minuti, intanto le tocco la fronte con la mia mano gelata (ho le mani gelate anche in pieno agosto) e lei si addormenta ma continua a lamentarsi nel sonno. Arrivo a casa, la prendo senza nemmeno portarla nel passeggino. Salgo in casa, l'appoggio sul fasciatoio, prendo il termometro e glielo infilo nel sederino. Iniziano ad apparire i numeri e si inizia da nientepopodimenoché 37,5....supera i 38 e io mi sento mancare, arriva a 39 e io vedo sfuocato, arriva a 39,6 e io piango. Lei mi vede piangere e capisce che qualcosa non torna e le si disegna in faccia una smorfia da "inizio a piangere di brutto se non la smetti". Io smetto di colpo e parlo con me stessa come fanno i pazzi, ripetendo ce la farai ce la farai ce la farai. Riferito al fatto di gestire una situazione che in quel momento sembra equiparabile all'innesco di una bomba nucleare.
Tachipirina. Dovrei avere da qualche parte le gocce di tachipirina. Le mie mani tremano, me le vedo tremare e sono consapevole di quanto io mi stia dimostrando ridicola. Io consapevole della mia reazione esagerata, non riesco  controllare quest'emozione distruttiva.
Leggo il foglietto, non ci capisco un cazzo, tutto troppo piccolo, non si trovano le..Aspetta, ok, indicazioni. Prendo un biberon, metto 50 grammi di acqua e vi diluisco 40 gocce. Dicono che le gocce facciano schifo, magari diluendole, il gusto non sarà un problema.
Come no. Non solo dopo il primo sorso rifiuta drasticamente il biberon, non solo mi scansa il bicchierino con la mano quando tento di raggirarla, ma al terzo tentativo abbozza un conato e mi arrendo. Chiamo mio marito, gli spiego piangendo il dramma che sto vivendo, lui capisce il mio livello di panico e mi raggiunge per accompagnarci al pronto soccorso pediatrico.

Flashback: Sono a Forlì, ho vent'anni ed è sabato. le mie coinquiline sono tornate a casa dai genitori, io i genitori li ho a 2000 km quindi non mi rimane che fare amicizia con i muri della mia camera. Ho freddo ma fuori ci sono 20 gradi, cerco un termometro in fondo al cesto dei medicinali scaduti nel 1990, mi misuro la febbre: 39. Mi metto a letto dopo una bella sigaretta e una camomilla. Mi risveglio 24 ore dopo, guarita. Nella mia "gioventù" me la sono sempre cavata da sola, non sono mai entrata in panico, ho organizzato ed affrontato 5 traslochi pesanti da sola, ho trattato i miei malesseri come i nemici, ignorandoli. Ho conosciuto la solitudine e me ne sono innamorata per quel lato masochista che il genere umano si porta dietro dalla nascita, sai da quando a pochi mesi ti dai i giochini in testa e ti piace  perché ti senti "vivo".  Ho amato la solitudine perché diciamoci la verità, prendersi cura di sé stessi non comporta alcun rischio.


E' Mercoledì, sono le 17,30 e ho davanti a me il corpicino di mia figlia bollente, lei è stanca ma non riesce a dormire, sperimenta la febbre per la prima volta e ne è sopraffatta.
Al pronto soccorso ci dicono che è una banale influenza, l'infermiera al momento della registrazione mi dice che è importante misurare la febbre appena succede qualcosa di strano ai nostri figli. Vedi il vomito di ieri. E di oggi. Mi sento una merda. Mi è andata bene, aggiunge, così piccola la bambina poteva andare incontro a convulsioni. Mi sento una merda enorme.
La soluzione alle gocce è ovviamente la supposta.

Il resto della disavventura mi vede più sicura di me. Le istruzioni da seguire sono semplici, penso di potercela fare. Farla dormire con noi per controllarla durante la notte, metterle una supposta se la temperatura sale al di sopra dei 38 gradi. Farla mangiare poco ma farla bere tanto. Ho passato l'intera notte abbracciata a lei, l'ho accarezzata, coccolata, l'ho aiutata a guarire e in due giorni ha debellato il virus. Senza antibiotico.

Adesso posso finalmente godermi gli acquisti fatti all'Ikea.


E lei può finalmente godere della compagnia preziosa (per la sottoscritta) dell'omino del cambio, lo stesso Fabler Bjorn che cercava di distrarla durante la febbricitante corsa verso le casse dell'Ikea.
Tutti i bimbi dovrebbero possedere un orsacchiotto del cambio, magari dategli anche un nome, io aspetto che lei sappia parlare. perché sono pigra. Vi eviterà di dover impazzire quando nel tentare di chiuderle il pannolino, lui/lei si girerà sul fianco per acchiappare le salviettine.



lunedì 5 marzo 2012

Lei sa già quello che vuole

Lei vuole ridere, cerca le attenzioni della gente e pretende che tutti capiscano il suo linguaggio fatto di strani gorgheggi e urletti pieni di entusiasmo.





Vuole la musica, ascoltarla, imitarla e far finta di suonarla.


Vuole il bagnetto, non tanto per il contatto con l'acqua calda e morbida, ma per le coccole e l'abbraccio di un asciugamano profumato che la protegga dal freddo. Si sente cullata nel suo imbacuccamento e al contempo si agita giocosa al solo pensiero di essersi liberata da abiti che appesantiscono il suo piccolo corpo perfetto.


Lei vuole il suo spazio per pensare e giocare per conto suo. Vuole il suo momento di smarrimento negli abissi dei suoi pensieri così innocenti da non poter essere immaginati. Vuole abbandonarsi a morfeo nelle braccia del suo lettino per poter onorare il suo rito del "mi addormento da sola". Vuole capire il dolore quando quest'ultimo viene a trovarla sottoforma di dentini e piaghette nelle parti basse. E mentre cerca di combatterlo a mò di morsi, lascia che il suo sguardo rapisca il mio obiettivo...


Vuole prendere un aereo (il secondo in 7 mesi!) per andare a trovare un suo amichetto partenopeo e per regalargli un assaggio della possessività femminile. Prevenire è meglio che curare. Tutti i ciucci del mondo sono suoi. Sapevatelo.



Vuole il suo papà, lo ama, lo cerca con gli occhi e segue ogni suo movimento. Lei ama la gente, ma suo padre è l'Amore.


Vuole sedersi, ma le è ancora impossibile farlo senza un supporto. E' che è pigra e spera sempre che gli altri le facilitino i compiti più duri. Il biberon al posto della tetta perché arriva più latte, la posizione supina perché non reca fatica. Ma da buona curiosona d'hoc, non può rinunciare a scoprire il mondo da una prospettiva più alta. E così, soddisfatta, si fa sorreggere dalle mie mani...



Vuole me. La sua mamma. lei ancora non lo sa ma io lo leggo nelle sue espressioni. In simbiosi da quando era un piccolo puntino nel mio utero. Io e lei inseparabili, vagabonde, con la voglia di vivere al massimo tutto ciò che ci si presenta sotto forma di occasione. Occasione di viaggiare, di ritrovare i bisnonni, di fare una full-immersion di shopping con tanto di pause pappa e merenda in un barretto intimo. Io e lei. Lei e io. Lei, mia figlia ma anche il riflesso della mia beatitudine. Io, sua madre ma anche  il suo stimolo maggiore attraverso il quale potrà vedere la parte migliore della vita. (che per quella peggiore, c'è sempre tempo).



Vabbè dai mamma ora basta con questo blog. Io sono pronta per uscire!!


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